“Nel 2007 il rapporto tra il prodotto per abitante delle regioni meridionali e quello del Centro Nord non ha raggiunto il 60 per cento; resta inferiore a quello di trent’anni fa. La produttività media degli occupati del Mezzogiorno è inferiore del 18 per cento a quella del Centro Nord. Il tasso di occupazione è più basso di 19 punti. La quota di lavoro irregolare sfiora ancora il 20 per cento, il doppio di quella delle regioni centro-settentrionali”. Questo dice finanche il Governatore della Banca d’Italia, Draghi, che di certo non ha grandi simpatie per il Sud e per la Sinistra.
La poderosa ripresa dell’emigrazione dal Mezzogiorno ripropone in modo inequivocabile l’attualità della Questione meridionale.
Un fenomeno che negli ultimi anni ha conosciuto una drammatica accelerazione, in concomitanza con una fase di stagnazione economica e con processi di de-industrializzazione, da una parte, e con il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego dall’altra.
Da tutto il Sud, negli ultimi 4 anni, l’Istat ha registrato movimenti migratori verso il centro-nord nell’ordine di 1,3 milioni annui. Numeri paragonabili soltanto alle statistiche degli anni 60 e 70.
Ma, a differenza di allora, oggi sono prevalentemente i giovani con alti livelli di scolarizzazione a fare la valigia: ragazze e ragazzi che partono per sfuggire alla disoccupazione e alle clientele e che, anche per i bassi profili attualmente richiesti dal mercato del lavoro meridionale, difficilmente potranno rientrare.
E questo accade anche in Irpinia, senza che le istituzioni riescano a contrastare il fenomeno.
Il nostro territorio perde così la sua più straordinaria risorsa, non solo in termini di pil e di ricchezza, ma anche e soprattutto dal punto di vista sociale.
Nei paesi dell’Irpinia, così colpiti dallo spopolamento, sono stati travolti tanti dei legami che ne costituivano l’articolazione sociale: basta guardare a come si sono svuotate di senso e di relazioni le nostre piazze e i nostri quartieri, a come i nostri paesi rischiano di essere luoghi e non più comunità.
Questo cambiamento va indagato anche per comprendere in quale misura e in quali forme è possibile un nuovo radicamento del partito nei territori e nei paesi.
Una nuova questione meridionale si è manifestata davanti a noi.
Una condizione già difficile, frutto dell’assenza di un serio intervento pubblico, e che rischia pesantemente di aggravarsi nei prossimi anni, quando il sud Italia non potrà più beneficiare dei fondi europei e se a questa condizione verrà a sommarsi l’introduzione di un modello federalista di stampo leghista.
Infatti, i fondi europei, benché utilizzati male, secondo la solita filosofia dei finanziamenti a pioggia, hanno rappresentato comunque un flusso di denaro importante e che spesso ha svolto un ruolo sostitutivo a fronte dei tagli imposti, dalle ultime finanziarie, ai trasferimenti a favore degli enti locali.
Se si pensa che nel 2013 il mezzogiorno uscirà dall’Obiettivo 1 e che le destre hanno annunciato l’intenzione di varare al più presto un federalismo a-solidale che lascia maggiori risorse al nord tagliando quelle che oggi vengono destinate al sud, allora si comprende quanto sia fondamentale mettere al centro della nostra iniziativa e dell’opposizione il tema del Mezzogiorno.
È ormai evidente che non esiste sinistra che non sia meridionalista e non esiste questione meridionale se non esiste una sinistra!