sabato 28 giugno 2008

Lavoro, non lavoro, precarietà

La globalizzazione e la precarietà, negli ultimi anni, hanno cambiato la fisionomia della produzione, hanno polverizzato le comunità di lavoro, ribaltato i rapporti di forza nella società a netto vantaggio del capitale. Tutto questo abbiamo definito come “rivoluzione capitalistica restauratrice”, un insieme di processi che arriva, oggi, nel nostro Paese, perfino a mettere in discussione il ruolo e la centralità del contratto collettivo nazionale, dopo averlo indebolito progressivamente, bloccando qualsiasi aumento salariale nel corso degli ultimi anni.
Il mondo del lavoro deve essere oggetto, da parte nostra, di un grande sforzo di inchiesta e di conoscenza che possa consentirci, in prospettiva, un maggiore insediamento e una più efficace iniziativa politica, anche nel sindacato.

L’attuale condizione dell’economia irpina è riassumibile da pochi dati estremamente significativi: un altissimo tasso di disoccupazione (soprattutto giovanile e femminile), frutto anche delle crisi industriali e dei licenziamenti, una notevole diffusione della precarietà e una potente ripresa dell’emigrazione.
Da ormai un quindicennio l’Irpinia ha smesso di crescere, da quando il modello economico produttivo determinatosi con l’industrializzazione è entrato in crisi a causa della diminuzione dell’entità dei finanziamenti pubblici alle imprese e per via dell’innalzamento, nell’economia globalizzata, dei livelli di concorrenza sul costo del lavoro da parte di paesi emergenti.

Certamente gli effetti della congiuntura economica sono stati più traumatici qui, perché le produzioni poco specializzate sono quelle più esposte.
Inoltre, l’apertura di nuovi mercati ha spinto molte aziende a delocalizzare la produzione in zone dove la manodopera è a più basso costo rispetto all’Irpinia.
E oggi siamo ancora nel pieno di quella crisi di sistema, senza che sia stata indicata una missione per il nostro territorio, rischiando di perdere l’ennesima possibilità rappresentata dai fondi europei della programmazione 2007-2013.

In questi anni, sono rimasti costanti i fenomeni del lavoro nero e irregolare –in cui spesso sono impiegati i migranti, costretti alla clandestinità dalla legge Bossi-Fini-, come testimoniano anche le molte inchieste promosse dalla magistratura.
E si è diffusa notevolmente la precarietà, nell’industria come nel settore dei servizi e nella pubblica amministrazione.
La precarietà è ormai la cifra della produzione globalizzata. Un fenomeno che non riguarda più soltanto i giovani su cui vengono sperimentate le tipologie contrattuali della Legge 30, ma che investe la società e la vita. La precarietà è oggi una condizione esistenziale assolutamente insostenibile, che non consente di progettarsi un futuro.
Dunque precario non è soltanto il giovane “interinale”.
Precari sono pure gli Lsu, che occorre spingere in un percorso di stabilizzazione, come abbiamo fatto al Comune di Avellino. Precari finiscono per essere anche quei lavoratori “esternalizzati” che, come avviene alla mensa dell’Ospedale Moscati, pur assicurando un servizio fondamentale, devono lottare -ogni volta che una ditta si aggiudica l’appalto- per difendere il proprio posto di lavoro. E di fatto sono precari quegli operai –che pure assunti con contratti a tempo indeterminato-, rischiano di vedere trasferita la propria produzione altrove, come è avvenuto con le vertenze Bitron e Valeo.
Soprattutto per i giovani irpini l’accesso al lavoro è oggettivamente difficile: stretti tra alti livelli di disoccupazione, una crescente precarietà e pervasivi sistemi clientelari.
Di fronte a tutto questo, occorre un grande sforzo di conoscenza e di radicamento nei luoghi del lavoro, una più partecipata e puntuale presenza nelle tante vertenze in cui, pure negli ultimi anni, siamo stati impegnati. Sono queste le condizioni essenziali per una ripresa del conflitto sociale.